Un dossier pubblicato su Repubblica riporta questo titolo: “Svapare non è una buona idea“. Accanto però un’altro articolo cita alcuni studi condotti dal prof. Riccardo Polosa per dimostrare l’efficacia del vaping nella riduzione del danno.
da REPUBBLICA 06/11/2018 - "Svapare non è una buona idea"
«Se parliamo di innocuità, i dati che abbiamo a disposizione ci dicono che le sigarette elettroniche non lo sono – commenta Roberto Boffi, responsabile del centro antifumo dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano – abbiamo svolto diversi studi a riguardo, e quello che posso dire con certezza è che emettono polveri sottili, anche se in quantità 20 volte inferiore alle sigarette tradizionali; la svapata espone il consumatore a metalli pesanti come il nichel, cromo, argento e titanio, a volte in quantità superiore a quella contenuta nei prodotti contenenti tabacco, e persino a sostanze pericolose come la formaldeide, un noto cancerogeno » . Questo non vuol dire che siano paragonabili alle sigarette – ammette l’esperto – ma di certo servono ancora studi di lunga durata per poter dare una risposta definitiva sui possibili effetti nocivi. «In questi casi il senso comune non basta – assicura Boffi – quando sono state introdotte sul mercato le sigarette light si diceva che facessero meno male di quelle normali, e oggi sappiamo invece che provocano tumori e disturbi respiratori al pari di quelle non light».
Contro il cancro però è utile
Si chiama “riduzione del danno”. Le e-cig diminuiscono il rischio di mortalità prematura P er alcuni esperti l’alternativa è una sola: smettere di fumare. Altri hanno un approccio più laico, e accettano l’idea che per i tabagisti impenitenti anche scegliere il male minore, come una sigaretta elettronica, può fare la differenza. Viene definita riduzione del danno, e se chiedete agli inglesi non hanno dubbi: secondo Public Health England, l’agenzia inglese per la salute pubblica e la lotta alle dipendenze, in Gran Bretagna tra le 18mila e le 50mila persone smettono di fumare ogni anno con l’aiuto delle e-cig. E la Commissione scienza e tecnologia della House of Commons ha pubblicato di recente un rapporto in cui afferma che, seppur non prive di rischio, le e-cig offrono ai tabagisti l’opportunità concreta di ridurre sostanzialmente il rischio di morte prematura e disabilità. I dati italiani, purtroppo, raccontano una storia diversa: stando al rapporto nazionale sul fumo, realizzato da Doxa e Istituto superiore di sanità, nel 2017 poco più del 14% di chi ha provato ad abbandonare le bionde con la sigaretta elettronica è riuscito nell’intento. Risultati che riflettono differenti scelte di politica sanitaria, almeno secondo Riccardo Polosa, direttore del Centro di ricerca per la riduzione del danno da fumo dell’università di Catania: «Il Regno Unito ha dato dimostrazione di lungimiranza e coerenza ponendo il vapagismo al centro delle proprie politiche antifumo – spiega – da loro la prevalenza del tabagismo si è ridotta del 15% in soli tre anni, analogamente a quanto osservato in tutti quei paesi, come Svezia, Norvegia, Islanda e Francia, che hanno deciso di promuovere la sostituzione della nicotina con alternative a basso rischio » . Corretta informazione e una minore tassazione, che non equipari le e-cig ai prodotti contenenti tabacco, secondo Polosa sarebbero la chiave per ottenere risultati simili anche nel nostro paese. Perché, a detta dell’esperto, l’Italia starebbe perdendo l’occasione per una vera e propria rivoluzione. Per quale motivo? Promuovere l’utilizzo di un dispositivo non privo di rischi per la salute, specie in mancanza di dati affidabili, può in effetti sembrare una scelta contraria alla deontologia medica. Eppure la risk reduction è accettata nel contrasto alla dipendenza dalla droga, e persino nella scelta delle terapie chirurgiche, mentre, obietta Fabio Beatrice, direttore del Centro antifumo dell’ospedale S. G. Bosco di Torino: « Per il tabagismo continuiamo a perseguire l’obbiettivo della cessazione » . È vero dunque che con le e- cig non si risolve il problema della dipendenza, ma lo si sposta semplicemente verso un prodotto meno nocivo. Ma a fronte di quasi 80mila morti l’anno causati dalle sigarette, per Beatrice potrebbe essere arrivato il momento di un cambio di strategia: «Dobbiamo riuscire a raggiungere i fumatori con una proposta ricevibile, perché attualmente solo lo 0,1% chiede aiuto ai centri antifumo. E la sigaretta elettronica potrebbe essere un buon mezzo per tenere il fumatore legato al suo medico».
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